Il Chianti (poi Classico) è conosciuto come una fonte infinitamente affidabile di vini pregiati o di dubbio onore al mondo. Le dimensioni del territorio sono di ben 7.000 ettari, ove altre regioni vinicole italiane stentano ad avvicinarsi.
Le sue quasi 47 milioni di bottiglie rappresentano oltre tre volte la produzione annua di zone ben note al pubblico esperto internazionale.
Il Sangiovese – a differenza del “rivale” Nebbiolo – è ovunque in Italia, essendo l’uva più coltivata del paese, perché dovuto alla persistente sensazione di un vino moderatamente strutturato, di colore chiaro, con una gradazione alcolica del 13,5%.
La Gran Selezione del 2014 prevedeva un tempo di invecchiamento più lungo di 30 mesi – anche se non necessariamente in legno, a differenza di altri importanti Sangiovese DOCG toscani – contro 24 per la Riserva, più l’uso di frutta di proprietà.
I vini Gran Selezione dell’annata 2010, hanno rilasciato vini torbidi e pesantemente estratti, ma nel tempo ora sono diventati dei buoni vini.
Un filone narrativo critico però è apparso in alcuni produttori (e media) per la decisione di basare la nuova denominazione di qualità sul tempo di maturazione, piuttosto che sul luogo.
Il Chianti Classico, dove i vigneti sono nascosti tra colline boscose, attraversate da ruscelli e fiumi, che gradualmente si aprono verso sud con una complessa geologia dei terreni come alberese (marne calcaree), macigno (arenaria) e galestro (scisti friabili), adesso è compreso in sottozone.
Nel 2021 il Chianti Classico si è suddiviso in sottozone chiamate UGA (Unità Aggiuntive Geografiche, pronunciate ‘oo-ga’ dalla gente del posto).
Le UGA sono sostanzialmente più grandi delle MGA delle Langhe, più comuni che singoli vigneti. Si basano in gran parte su divisioni comunali, con alcune differenze.
Quindi troviamo il Castelnuovo Berardenga all’estremità meridionale della zona diviso però in Vagliagli UGA occidentale e Castelnuovo Berardenga UGA orientale.
Poi ci sono gli UGA di Montefioralle, Lamole e Panzano, definiti dalla geologia, dall’altitudine o dai flussi di torrenti e fiumi, scavati nel territorio di Greve in Chianti.
L’ampiezza e la diversità interna degli UGA rendono in molti casi poco pratico identificare i tratti facendo, secondo la maggior parte di coloro abbiamo intervistato, un pò di confusione sulla posizione.
Poi c’è anche il fatto che i vini di non Gran Selezione sono presenti nell’UGA, anche se tecnicamente non gli è consentito avere l’identificazione.
Un ulteriore cambiamento nella Gran Selezione è l’inasprimento delle regole di blending per richiedere il 90% di Sangiovese, al fine di escludere le uve internazionali.
La maggior parte dei tradizionalisti sembra soddisfatta, poiché comporterà la eliminazione delle varietà bordolesi che tendevano ad avere un impatto fuori misura, portando toni scuri e note guidate dai tioli che sembravano estranee al Sangiovese.
La diversità delle uve tradizionali fornisce ampio materiale su cui lavorare e la qualità dei loro cloni è migliorata notevolmente.
Nei nostri campioni c’erano circa numerosi vini con Canaiolo, altri 40 con Colorino, 15 con Malvasia Nera, 10 con Ciliegiolo e altri con Mammolo e Pugnitello.
Oltre al Colorino, un ampio sostituto delle uve bordolesi con i suoi vini scuri, pieni e strutturati, autoctoni con variazioni sul tema del Sangiovese.
Alcuni sono più profumati (Canaiolo, Malvasia Nera e soprattutto Mammolo); altri più delicati (Ciliegiolo), ma anche pesanti (Pugnitello), però mantengono il blend all’interno del naturale spettro del Sangiovese.
Una spina nel fianco della Gran Selezione sono stati i Supertuscan locali, un gruppo molto diverso dai blend bordolesi di Bolgheri. Vini di puro Sangiovese. Ora non esiste più questa particolare identità.
Tuttavia, la Gran Selezione sta visibilmente guadagnando terreno, aiutata dal rilascio di nuovi progetti raffinati ed eleganti.