La pubblicità su web ha un costo di gran lunga inferiore a quello su carta, circa un decimo. Una dinamica che viene reiterata ed esasperata con l’affermarsi dei dispositivi di nuova generazione come smartphone e tablet, poiché il costo pubblicitario su questi ultimi dispostivi è a sua volta di gran lunga inferiore a quello sul web. Il problema è, da una parte trovare il modo di riuscire a convincere i lettori a pagare per quel che leggono (se non per il web, quanto meno per i servizi digitali su smartphone e tablet, così come per prossime futuribili tecnologie che si introdurranno in un prossimo futuro), dall’altra riuscire a traslare i formati pubblicitari cartacei in formati che rispondano a una logica di consumo il più possibile coerente con i nuovi media. Non solo, significa ricercare modelli di business che siano meno economicamente dipendenti dalla pubblicità: è infatti ancora tutto da dimostrare che la pubblicità, di per sé stessa, possa produrre un flusso di ricavi sufficiente a garantire l’esercizio di un’attività complessa e costosa come, per l’appunto, si dimostra essere la produzione di informazione. Quest’ultimo è uno degli aspetti cruciali che riguardano la pratica editoriale attuale. Come giustamente osserva Michael Wolff sul Guardian, all’evolvere delle modalità di fruizione dell’informazione – dalla carta al web, dal web al digitale – ha corrisposto una costante diminuzione del valore unitario del costo pubblicitario.
L’evoluzione e diversificazione della distribuzione dell’informazione, così come avvenuta in questo ventennio, espone perciò il produttore, chiunque esso sia, a dovere immaginare un modello di sostenibilità che deve fare i conti con una progressiva e , quanto meno fino ad adesso, ineluttabile contrazione del contributo remunerativo offerto dalla pubblicità.
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