Le aziende dirette dalle donne sono più attente all’ambiente e per finanziare i loro progetti di sviluppo si rivolgono alla «Blue Economy», quel modello di economia dedicato alla creazione di un sistema economico sostenibile attraverso l’innovazione tecnologica.
Uno di questi progetti è quello del agrivoltaico da 10 megawatt di picco su 15 ettari in Emilia-Romagna.
Il «green» è ormai sempre più «rosa». Già nel 2014 uno studio condotto dall’Università di Berkeley aveva dimostrato che, nelle imprese in cui le donne ricoprono ruoli manageriali, si registrano maggiori scelte e politiche di sostenibilità, drastiche riduzione della corruzione e più in generale migliori performance.
Uno studio del 2017 della Commissione Europea ha poi confermato che anche nella realtà europea sono le donne ad essere maggiormente attente all’ambiente, dato avvalorato per l’Italia da un rapporto elaborato con i dati di Fondazione Symbola-Unioncamere e le stime di Si.Camera che vede in quell’anno aumentare la media delle aziende italiane che punta sulla sostenibilità al 25,6% per la generalità delle imprese ed addirittura al 30,2% per le imprese femminili.
A queste percentuali si deve anche aggiungere, in uguale misura sia per le imprese femminili che per quelle maschili, un 31% di aziende che in questi anni ha mantenuto oppure aumentato gli investimenti in tecnologie digitali ed un 22% di aziende che ha mantenuto oppure aumentato gli investimenti in sostenibilità ambientale.
In definitiva, le donne d’impresa si sono maggiormente lanciate nella duplice transizione che le politiche europee sostengono con forza e che rappresenta il core del PNRR italiano, con una percentuale complessiva del 45% delle imprese femminili (630 mila aziende) che investe nel digitale e del 34% (476 mila aziende) che investe nella sostenibilità ambientale.
A dimostrazione dell’importanza che le donne imprenditrici attribuiscono alla transizione ecologica, vi sono numerose “nuove” imprese femminili che fondano il loro business proprio su progetti tecnologici green.
In questo senso vanno molte delle startup femminili che puntano su materiali esclusivamente ecosostenibili. Un’altro esempio è quello a Catania con la mission nel creare tessuti circolari dagli scarti degli agrumi per contribuire attivamente ad un futuro dell’industria tessile, sempre più rispettoso dell’ambiente.
Ed ancora c’è chi ha ideato un processo per valorizzare i materiali di scarto delle aziende agroalimentari, reimpiegando riso o gusci dei gamberi per ottenere biopolimeri naturali —come cellulosa e chitina— che consentono di produrre carta senza deforestare nonché bioplastica completamente degradabile.
Per quanto sopra si ringrazia l’ufficio stampa MediaWeb di Roma.