L’Italia era il primo e, finora, unico membro del G7 ad aver aderito alla BRI, ed è così diventato anche il primo paese a lasciare il gigantesco schema di sviluppo delle infrastrutture globali della Cina.
La BRI, lanciata nel 2013, mira a collegare la Cina e l’Europa attraverso rotte terrestri e marittime, ed è stata successivamente estesa all’Africa, all’America Latina e alla regione artica. Attualmente oltre 150 paesi hanno aderito alla BRI.
l’Italia sperava che l’adesione alla BRI avrebbe stimolato le esportazioni verso il mercato cinese in rapida espansione, attirato investimenti esteri cinesi, aumentato notevolmente gli arrivi di turisti cinesi e accelerato lo sviluppo dei porti di Trieste, Genova, Venezia, e Palermo con l’aiuto di aziende cinesi. Nessuna di queste aspettative si è concretizzata, motivo ufficiale per cui l’Italia ha rinunciato alla sua adesione alla BRI.
Le esportazioni italiane verso la Cina sono aumentate solo lentamente tra il 2019 e il 2023, da 13 a 16,4 miliardi di euro. Nel frattempo le importazioni cinesi sono quasi raddoppiate, passando da 31,7 miliardi a 57,5 miliardi di euro, ampliando il deficit commerciale dell’Italia.
Mentre il lento progresso delle relazioni economiche deve in gran parte essere attribuito alla pandemia di Covid-19, che ha colpito gravemente sia la Cina che l’Italia, i concorrenti europei dell’Italia, Germania e Francia, hanno ottenuto risultati economici superiori con la Cina, anche senza essere membri della BRI.
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