Le piattaforme ci forniscono “infotainment” gratuito (informazioni e intrattenimento) e fanno tutto ciò che è in loro potere per mantenerci coinvolti. Mentre consumiamo il contenuto, la piattaforma raccoglie i nostri dati, che vengono poi elaborati in analisi predittive, ovvero le informazioni utilizzate per indirizzare gli annunci pubblicitari.
Gli inserzionisti pagano per queste analisi al fine di alimentare le loro campagne pubblicitarie mirate. Nel contempo però sostengono indirettamente anche tutto ciò che avviene di negativo nei vari social, indi per cui sono comunque coinvolti, ma la maggior parte di essi nega categoricamente ogni e qualsiasi partecipazione e collaborazione.
Esiste un incentivo finanziario per la maggior parte delle piattaforme per massimizzare il coinvolgimento online, il che significa che qualsiasi contenuto, reale o meno, che riceve clic, Mi piace e commenti è molto apprezzato.
Gli influencer che condividono contenuti incendiari e controversi possono di conseguenza diventare ricchi, spesso portando altri a replicare il loro stile. Pertanto, non sorprende che molti creatori pubblichino contenuti conflittuali, semplicistici ed emotivamente carichi di narrazioni ovvero -noi contro di loro-.
Gli influencer svolgono un ruolo particolarmente importante in questo mercato digitale spietato, ma da recente stanno iniziando ad infastidire gli stessi utenti e, di conseguenza, gli inserzionisti più intelligenti li evitano come se fossero la merda.
Taluni influencer sono talmente decerebrati che, spinti dalla promessa di denaro pubblicitario, cercano il coinvolgimento ad ogni costo, arrivando addirittura a promuovere contenuti che minano le istituzioni democratiche.
Quando un influencer non è più -gradito- alla piattaforma social, viene demonetizzato o bandito per aver pubblicato discorsi di incitamento all’odio, gli stessi che un attimo prima andavano comunque bene alla medesima piattaforma.
Il social media trattiene comunque gli introiti pubblicitari dell’influencer bannato e, pertanto, nulla deve a questi idioti che si sono prodigati nel spammare il nulla della esistenza su servizi e prodotti, quasi sempre inutili e anche dannosi per la salute.
I brand manager possono utilizzare i propri budget per ritenere responsabili le piattaforme, soprattutto se agiscono in gran numero, come dimostrato dal recente boicottaggio degli annunci pubblicitari di X (precedentemente noto come Twitter).
Alimentare le ansie sociali e il tribalismo è anche il modo in cui circolano le teorie del complotto. Quelle però reali non usano i social infantili, ma piattaforme ben strutturate e diversamente accessibili a coloro che intendono effettivamente compiere azioni a beneficio del prossimo.