La risoluzione adottata dal Parlamento Europeo è per l’adozione di misure tese al rispetto di standard sociali che vincolino le produzioni di tessile abbigliamento provenienti dai Paesi con accesso preferenziale nell’UE.
Il motivo di un rinnovato slancio verso la sostenibilità nel settore della moda e nel tessile va ricercato nelle catene di fornitura globali, che al momento sono in espansione e che richiedono grandi quantità di energia ed acqua, causano cospicue emissioni di anidride carbonica e rilascio di sostanze chimiche, e spesso sono caratterizzate da prassi di lavoro che potremmo definire controverse.
La gestione delle sostanze chimiche continua ad essere una priorità lungo la supply chain dell’abbigliamento. Secondo le ultime stime, 16 grandi nomi della moda stanno gradualmente eliminando alcuni inquinanti tossici comunemente utilizzati.
I gruppi di sostanze incriminate, sono alchilfenoli, ftalati, ritardanti di fiamma bromurati e clorurati, coloranti azoici, composti organici stannici, composti perfluoroclorurati, clorobenzeni, solventi clorurati, clorofenoli, paraffine clorurate a catena corta e metalli pesanti come cadmio, piombo, mercurio e cromo VI.
Si tratta di sostanze non biodegradabili che, quindi, con il lavaggio degli abiti, vanno ad accumularsi nelle acque reflue provocando un danno ambientale notevole. E come ha spiegato la Global head of chemistry di UL (azienda specializzata in sicurezza dell’ambiente e del lavoro), Anne Bonhoff, durante un summit di sensibilizzazione rivolto al settore moda, “il problema non rimane isolato esclusivamente alla filiera, ma interessa anche il consumatore che inconsapevolmente continua a inquinare l’ambiente”.
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