L’articolo di seguito è di un nostro sommelier professionista al quale abbiamo chiesto un’opinione sull’affinamento del vino in mare. A voi quindi la lettura e la riflessione su quanto segue.
In tutti i corsi di enologia o di sommelier, si arriva prima o poi al capitolo riguardante le bollicine. Metodo Martinotti o Charmat, Metodo Classico.
Il mondo si divide in due. Il primo ha fatto la fortuna di vitigni come il Glera e i milioni di bottiglie di Prosecco.
Metodo quello Martinotti meno pregiato del Classico, ma in grado di far esaltare maggiormente i sentori del vitigno.
Raffinato, impegnativo e pregiato il Metodo Classico che vede nello Champagne la sua massima espressione.
Certamente, cimentarsi con le bollicine è cosa normale se si opera in zone vocate come la Franciacorta, l’Oltrepò Pavese, il Trentino (solo per citarne qualcuna).
Diventa poi un punto di arrivo, una consacrazione o semplicemente un vezzo per quelle cantine che cercano di produrre un Metodo Classico con uve e in territori meno blasonati.
Aldilà del vitigno, della zona e delle eventuali cuvè piuttosto che millesimati, una delle fasi più importanti per la produzione delle bollicine da Metodo Classico è certamente l’affinamento. Sur lies si dovrebbe dire. Sui lieviti, insomma, anche se tecnicamente “lies” sono le fecce fini che, essendo principalmente composte da lieviti, assume questo significato.
Dai sacri manuali si impara che un affinamento del genere serve a far “maturare” il vino attraverso il prolungato contatto con i lieviti. Morbidezza, bouquet di profumi, perlage, dipendono dalla qualità della permanenza sui lieviti. Senza contare il preservare la qualità del vino nel tempo e la stabilità cromatica ed aromatica.
Quindi sur lies è una fase fondamentale che può durare da pochi mesi a molti anni. Ci si spinge anche fino a 10 anni. Forse troppi ma le sperimentazioni, o le suggestioni, non finiscono mai.
Perché un affinamento avvenga in maniera corretta le condizioni cui le bottiglie devono riposare sono abbastanza standard. Direi stabilite da anni e anni di produzione.
L’assenza di luce e una temperatura di circa 12°C sono le condizioni base, così come la posizione orizzontale delle bottiglie.
Visto che all’interno delle bottiglie in affinamento la pressione diventa decisamente alta (fino a 7 atmosfere) una certa “stabilità” delle stesse nel corso del processo, sarebbe auspicabile. Non fosse altro per non farle esplodere!
Fin qui la premessa. Magari nota ai più.
Da qualche anno sta prendendo forma la tendenza ad affinare le bottiglie di bollicine (ma non solo) nelle profondità del mare o del lago.
Circa 400.000 bottiglie prodotte a livello globale, 150.000 in Italia. È scienza o solo suggestione?
Sul sito Underwaterswines come in Orygini o in Jamin, vengono indicate come condizioni favorevoli per questo affinamento la “differenza di pressione”, le “correnti armoniche”, la “temperatura costante”, “l’assenza di luce”.
Partiamo da quest’ultima: Assenza di Luce.
Affinché in profondità vi sia assenza di luce, occorre spingersi a circa 200 metri. Sarebbe molto complicato sia la posa delle gabbie sia il “ripescaggio”. Oltretutto con costi poco proponibili.
Per tale motivo le gabbie vengono posate a circa 40/60 metri. Qui, la luce c’è e filtra decisamente bene. Siamo nella zona eufotica [1].
Il risultato è che le condizioni di luce non son proprio stabili. Anzi vi è un alternarsi di luce e oscurità seguendo il normale ciclo dei giorni. Cosa che tipicamente non avviene in cantina dove al massimo si accende, per brevi periodi di tempo, la luce.
A 60 metri di profondità la pressione poi è pari a 6 atmosfere.
In una bottiglia di Champagne o di Metodo Classico la pressione interna si attesta tra le 4 e le 6 atmosfere; in una con Metodo Martinotti circa 2-4 atmosfere.
Ciò comporta che, mediamente, la pressione esterna è equivalente a quella interna. Cosa vuol dire? Ecco, non vuol dire nulla perché il liquido contenuto all’interno della bottiglia non risente in alcun modo della pressione esterna.
C’è il vetro della bottiglia a fare da stabilizzatore piuttosto che il tappo (a corona che comunque deve essere resistente alla corrosione).
Pensare che ci sia una influenza sarebbe come dire che lo stato fisico delle persone, che sono imbarcate all’interno di un sommergibile, dipenda dalla profondità.
Se poi si pensa che la pressione abbia una influenza sul mutamento delle caratteristiche organolettiche del vino, sempre utilizzando il paragone del sommergibile, sarebbe come dire che il corpo dei sommergibilisti subisca delle mutazioni! Follia e meno male che è così.
Passiamo alle correnti armoniche.
Le casse che vengono immerse nel mare sono di dimensioni variabili, ma comunque sempre estremamente capienti.
In genere devono essere così pesanti da evitare che le correnti marine spostino la gabbia metallica, altrimenti si andrebbe incontro ad uno sballottolamento delle bottiglie che violerebbe la necessità di un sosta prolungata sui lieviti. Oltre che spostare la gabbia verso chissà dove.
In ogni modo, pensare che le correnti marine possano “cullare” le bottiglie, oltre che essere improbabile per il peso delle gabbie, sarebbe forse anche “deleterio” per la qualità del vino.
Infine la temperatura costante.
L’acqua del mare con la sua salinità tende a mantenere, specialmente alle profondità indicate, una temperatura pressoché costante. Tra i 13 e i 15° indipendentemente dalla temperatura in superficie. Ovviamente nel mediterraneo dove, solo nel periodo estivo, in superficie si arriva a circa 24-25°C. Dunque questa condizione è assolutamente verificata. Ma non basta una cantina dove tale condizione si mantiene lo stesso?
Aggiungo una condizione che differenzia l’immersione dalla tradizionale cantina: l’assenza di ossigeno. Influenza? Direi di no. Visto che il tappo con il quale devono essere chiuse le bottiglie è di tipo a corona, ovvero stagno, pensare ad influenze o meno dell’ossigeno, è dura.
Tutto ciò premesso, appare chiaro e documentabile che conservare una bottiglia nelle profondità del mare non aggiunge nulla alle qualità organolettiche del vino. Aggiunge magari un po’ di storia, del pathos, delle parole alla narrazione del vino.
Ma niente altro.
Negli assaggi che ho avuto nel tempo, ho trovato certamente buoni prodotti, ma senza differenze con l’analogo vino affinato tradizionalmente.
Insomma, nulla vieta di affinare le bottiglie dove meglio si crede. Nelle profondità del mare, della terra, su una navicella spaziale. Si può anche creare una narrazione specifica perché anche questa è un’arte. Ciò che non si può e non si deve fare è però prendere in giro le persone.
Comunque sia, c’è senz’altro la suggestione e il pathos nell’immergere per mesi le bottiglie nelle profondità (!) del mare o del lago magari in luogo particolare. C’è lo show nel ripescare le gabbie con le bottiglie. C’è l’attesa e la meraviglia nello stappare una bottiglia con un po’ di incrostazioni.
Ecco, tutto questo basta per non smettere di immergere le bottiglie. Perché in fondo, il mondo del vino è bello anche per questo.
Ivan Vellucci
ivan.vellucci@winetalesmagazine.com
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NOTA TECNICA by WIKIPEDIA (Aggiunto dalla redazione Emmegi Press a supporto di ulteriore approfondimento sull’argomento).
[1] La zona eufotica (o zona fotica; i termini vengono dal greco e significano ben illuminata) è dato da un ecosistema acquatico in cui si ha un livello ottimale di luce solare in entrata, sufficiente a permettere la fotosintesi da parte delle piante e dei batteri fotosintetici. Come conseguenza, si ha che la produzione primaria di materia organica derivante dalla fotosintesi supera il consumo di materia organica derivante dalla respirazione.
L’acqua è molto efficace nell’assorbire la luce in entrata, quindi la quantità che penetra nell’oceano diminuisce rapidamente (si attenua) con la profondità.
A un metro di profondità rimane solo il 45% dell’energia solare che cade sulla superficie dell’oceano.
A 10 metri di profondità è ancora presente il 16% della luce e a 100 metri solo l’1% originaria.
Nessuna luce penetra oltre i 1000 metri!
La zona epipelagica (dal greco ἐπὶ, sopra) è la zona pelagica estesa tra la superficie e i 200 metri di profondità.
È la zona situata presso la superficie del mare dove vi è abbastanza luce da permettere la fotosintesi.
Avviene qui quasi tutta la produzione primaria dell’oceano. Di conseguenza sono concentrate moltissime specie vegetali e animali.
Tra gli organismi che abitano la zona epipelagica ricordiamo il plancton, il sargasso, meduse, tonni, molti squali e delfini.