Le aziende che utilizzano Internet per raccogliere profitti, utilizzano sistemi ben precisi, almeno quelle che sanno di cosa si tratta l’argomento. In sintesi questi metodi, non sempre efficaci, consistono in:
L’ottimizzazione della ricerca, il content marketing, gli influencer (in declino), gli annunci pay-per-click (scarsi risultati), i programmi di affiliazione e la pubblicità ordinaria.
Fra di essi il cosiddetto -content marketing- è in espansione anche se dovremmo dire che esistono tariffe alquanto bizzarre e agenzie di comunicazione piuttosto farlocche o, peggio, millantatorie di guadagni eccelsi.
Le aziende che assumono agenzie di marketing digitale o consulenti di tecnologia pubblicitaria, una gran parte delle volte non sono in grado di rispondere adeguatamente alle domande degli utenti, men che meno se provengono da professionisti che cercano risposte ai contenuti pubblicati.
Il peggio lo abbiamo in chi gestisce software automatici per aumentare like, followers, impression ed ogni altra strategia che fornisca all’utente finale la -sensazione- di vedere un marchio seguito, ma è facilmente verificabile poi lo sbilancio ad iniziare dagli stessi commenti e dal numero dei followers quasi sempre acquistati in modo truffaldino.
Le aziende di tecnologia pubblicitaria operano senza responsabilità o supervisione, quindi quando un marchio paga un’azienda per pubblicare i propri annunci, esternalizza anche la propria responsabilità.
Un marchio potrebbe quindi finire per finanziare la disinformazione sui principali eventi globali. Ed anche dopo aver ricevuto le prove, i marchi rimangono in silenzio.
La maggior parte dei brand non vuole essere associata all’incitamento all’odio e alle bot farm, ma lo fanno. È facile guardare dall’altra parte in un mercato così complicato dal punto di vista tecnico, ma gli esperti di marketing hanno una responsabilità lasciando ai loro clienti nel diventare complici rimanendo in silenzio.
I politici e gli attivisti stanno spingendo per riformare le piattaforme digitali per contrastare la disinformazione. La maggior parte degli sforzi si concentra sulla moderazione dei contenuti e sul fact-checking, ma si presta poca attenzione alla riforma del mercato della pubblicità digitale.
Vi sono agenzie di comunicazione che chiedono alle testate giornalistiche le loro statistiche, sapendo perfettamente che non si possono paragonare ai social media. Pertanto la loro richiesta è farlocca.
Le piattaforme e le aziende di tecnologia pubblicitaria devono lavorare per riformare un mercato che trae profitto da tecniche illegali, spesso dannose anche per i marchi stessi. Salvo non gli interessa perdere qualche cliente, avendo già abbastanza denaro?