Quanto pubblichiamo è estratto dal sito web della Polizia Postale, quindi fonte autorevole. Si tratta del “Reato di ingiurie e diffamazione a mezzo internet”. La già citata Legge 547/93, nonostante abbia previsto ed introdotto una serie di ipotesi illecite relativamente ai c.d.”reati informatici”, non ha previsto la possibilità della configurazione del reato di ingiurie e diffamazione perpetrato attraverso la Rete internet.
Per quale motivo riportiamo il testo ? Semplicemente perché tempo addietro un utente, in un gruppo specifico, dedicato ad un quartiere di Firenze, a seguito della pubblicazione di una notizia su un fatto realmente accaduto, l’articolista è stato oggetto di offese calunniose da parte di due utenti; in particolare modo uno si è espresso con parole e frasi anche velatamente minacciose.
Al riguardo e a colmare tale lacuna, però, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che le fattispecie criminose previste dagli art.594 (ingiurie) e 595 (diffamazione) del c.p., ricomprendono anche tutti quei comportamenti lesivi dell’onore e del decoro di una persona che si realizzano attraverso le nuove forme di comunicazione nate grazie alle attuali tecnologie informatiche.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 4741 del 2000, al riguardo stabilisce:
“ Il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione la esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici, non ha ritenuto di dover mutuare o integrare la lettera della legge con riferimento a reati ( e, tra questi certamente quelli contro l’onore la cui condotta consiste nella ( o presuppone la) comunicazione dell’agente con terne persone. E tuttavia, che i rati previsti dagli articoli 594 e 595 c.p. possono essere commessi anche per via telematica o informatica, è addirittura intuitivo; basterebbe pensare alla cosiddetta trasmissione via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria ( se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione ( se i destinatari sono persone diverse)”
Il reato di ingiuria è puntualmente previsto e punito dall’art.594 del c.p.:
“ Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi e con la multa fino a 516 euro. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino due milioni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.”
Dal corollario appare chiaro perché si configuri il reato di ingiuria è necessario che l’offesa sia compiuta alla presenza del soggetto offeso e che lo stesso ne abbia l’effettiva percezione della natura offensiva della pronuncia e/o della scrittura da parte del reo ( elemento soggettivo ).
L’articolo 595 de c.p. punisce invece la diffamazione e così detta:
“Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino a u n anno o con la multa fino a due milioni. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a quattro milioni.Se l’offesa è recata con mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a un milione:”
Dall’analisi del testo emerge che affinchè si configuri il reato di diffamazione, è necessario che si realizzi la compresenza di tre elementi costitutivi:
1. l’assenza dell’offeso;
2. l’offesa deve riguardare l’altrui reputazione;
3. la percezione dell’offesa da parte di più persone.
In Italia una delle primissime sentenze in tema di risarcimento danni per diffamazione compiuta su social network ( facebook) è la sentenza 770 del 2 marzo 2010 del Tribunale Civile di Monza.
Quel giudice condannava un giovane al risarcimento del “danno morale soggettivo o, comunque del danno non patrimoniale” sofferti dalla persona per la subita lesione “della reputazione e dell’onore” cagionata mediante l’invio di un messaggio tramite il diffuso l social Network “Facebook”.
Fonte: Commissario di PS